Gimmi

28 agosto 2014 § Lascia un commento

Lei era bella da non saperlo, perché nessun altro avrebbe detto di lei che fosse bella. Eppure era bella. Occhi azzurri come un lago alpino, proprio inerpicati sulla dolce dorsale del suo naso. Gobbo, aquilino, avrebbero avuto a dire. Eppure era bella.
Era la terza birra che beveva, occhi persi nel vuoto, blu, inesplicabilmente persi nel vuoto.
E di quel vuoto le capitò, come solo sanno fare le diciottenni, di innamorarsi. Lui continuava a versarle da bere sorridendole come fosse l’unico a conoscere la sua bellezza. La terza birra e il suo sorriso era perfetto e sorrideva a lei. Lei gli chiese come si chiamasse “Gimmi” rispose Girolamo Mannone, il fratello bello dei Mannone, i gestori dell’unico Pub del paese. Per l’estate, come tutte le estati, avevano occupato il giardinetto lungo il Liri con i loro tavoli di legno e le spine per la birra. Lei lo sapeva benissimo come si chiamava, ma ogni sera sembrava la prima sera del mondo, ideale per perdersi in quel vuoto blu. “Gimmi, mi fai un Mojito?” “Certo tesoro mio”. Aveva sentito bene: tesoro mio. Aveva passato in quel giardinetto ogni sera da quando era tornata dopo l’esame di Chimica, l’unico che era riuscita a dare in quel primo anno di università. Ed era sicura che “Tesoro mio” lui non l’avesse mai usato. Le altre erano “Bella”, “Fantastica”, “Amò”. “Tesoro mio” dove il pronome possessivo le aveva smosso un’impercettibile ruttino agitando le tre bionde che riposavano in lei. Buttò giù il ghiaccio, il rum, la menta e lo zucchero in un sol colpo a tenere a bada il suo stomaco parlante. Le casse intanto pompavano i peggiori pezzi della migliore house che la Romania avesse prodotto in quell’estate PAMPAMPARAPARA PAMPAMPARAPARA, e il respiro della ragazza seguiva i 135 bpm con l’alzarsi del suo seno giovane e prosperoso, troppo prosperoso per un corpicino così esile. Una quarta su 147 cm di altezza e 47 chili di peso. Una quarta da cui Gimmi non le aveva tolto gli occhi di dosso per un’attimo. Finché lei rimaneva al banco gli occhi vuoto blu del barman erano solo per lei e le sue tette. Soprattutto quando lei, ormai brilla è innamorata, slacciò il terzo bottone della sua camicetta fucsia troppo stretta per i suoi andirivieni commercial techno. “Gimmi, caccia due chupiti di techila sale e limone,” Senza togliere gli occhi dal suo “tesoro” Gimmi prese due bicchierini di plastica pieni di liquido invisibile, il piattino del sale e due mezze fettine di limone, “Cin” disse lei sorridendo alzando uno dei due microcalici, lui rispose subito. Un colpo. Un sorriso. Un rutto soffocato. Le guance bellissime e rosse. L’aurea del capezzolo sinistro ad imitare il colore sotto la lampada al neon del chiosco. “Un altro”. “Tesoro mio, vuoi famme ubriacà?” lei credette di fare un occhiolino mentre sul suo viso si disegnò una smorfia buffissima. Anche Gimmi pensò fosse buffa e rise sguaiato. “Vabbè, dai, che so le tre di sabato e fra un po’ devo staccà comunque”. Stavolta era lei a non schiodare gli occhi dal vuoto blu, neanche quando l’ennesimo colpo di alcol secco le bruciò dalla gola allo stomaco. Lei, innamoratissima, aveva poggiato i seni sul banco e ansimava parlando. Milioni di parole le uscirono senza rendersene conto. Lui sorrideva e non diceva niente e versava, a lei, a Bella, a Amò. Improvvisamente Gimmi esce dal bancone e va in direzione opposta a dove lei rimaneva appollaiata. La ragazza scese immediatamente dallo sgabello, troppo alto e troppo in fretta, le stelle le scrutarono lo sguardo perso. Ci mise un tempo indecifrabile per riprendere l’equilibrio e accorgersi che Gimmi si era allontanato già di un bel pezzo.
Barcollando vistosamente sui suoi tacchi 12 riuscì in un gioco di equilibrio degno di un clown del miglior circo del mondo a raggiungere il suo amore sfuggente. “Gimmi!” urlò quasi per il panico di non riuscire ad infilare gli ultimi due passi che lo separavano da lui. Girolamo si fermò e dovette fermare la sua inerzia e i suoi capogiri appoggiandosi al lampione di fianco a lui. Ogni notte era così, per fare il simpatico e invogliare le ragazze a bere, tra uno sguardo languido e un sorriso malizioso finiva per tornare a casa più ubriaco delle sue clienti. “Gimmi! Ma che te ne vai? Non mi saluti?” Gimmi stampa sul viso il sorriso migliore che ha e si volta. Quando vede da dove proviene il richiamo, pur mantenendolo come un’emiparesi, il sorriso viene risucchiato dall’interno e sboffa fuori in un rigurgito acidissimo di birra e tequila. “Ciao tesoro mio, è che stasera sto proprio cotto” “Anche io sono cotta, di te!” Si sorprese a dire lei con un coraggio che l’alcol tirava fuori direttamente dal subconscio e dai sogni delle ultime notti. Si avvicino al barman rimasto di sale come nelle favole, bloccato nel suo sorriso rigurgitato. Lei le appoggiò le mani sul petto. Lo sentì respirare forte, senza capire che il suo uomo stava sudando freddo solo per mantenere sotto controllo una delle sue solite sbornie da lavoro. Lei lo tirò verso la porta di casa di zia Nunuccia dove potè salire su due gradini e in punta dei piedi finalmente baciarlo. La statua di sale emise un nitrito e si avventò su quelle labbra, spingendo la ragazza sotto l’arco di ingresso del portone. Le mani frugavano il seno abbondante, scesero poi rapide sui fianchi. La prese in braccio arrotolandole la minigonna già cortissima al di sopra della vita. La infilò senza neanche sfilarle le mutandine. Cinque, sei colpi rabbiosi, poi ancora un nitrito. Lei non capiva nulla. Aprì gli occhi solo per accorgersi che Girolamo se ne era andato.
La sera dopo Gimmi non andò al lavoro. Il fratello disse che era partito in vacanza con la fidanzata di Pescara per il Salento e sarebbe tornato a settembre.
Tre anni dopo, alla festa di laurea gli occhi blu vispissimi di Jimmy guardavano orgogliosi il mazzo di rose tra le braccia del suo tesoro. “Brava mamma!!!” Sorrise il piccolo Colascione in braccio a zia Nunuccia. Gli occhi azzurri come un lago alpino per la prima volta dopo tre anni persero una lacrima. Il professor Carli volle fare una foto con la dottoressa Colascione ed il suo piccolo Jimmy.

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