La teoria dei vasi incomunicanti

27 dicembre 2013 § 2 commenti

Oggi ho conosciuto il silenzio, il silenzio e la solitudine, come non li avevo mai incontrati, come non li avevo mai ascoltati. Mi guardavo intorno e non c’era altro che me, un riverberato io tutto intorno e basta. Non era egoismo, come spesso l’ho confuso. Era la solitudine. Io per me e con me. E ci sarebbero potute essere, anzi ci sono state centinaia di persone a condividere il mio spazio. Io restavo solo. I suoni erano distanti e non mi appartenevano, le voci, quelle più familiari, non avevano nessun ricordo ad accompagnare il messaggio, nessun senso che potesse distogliermi dal mio vuoto pieno di io. Ho compreso il silenzio oggi, e la distanza, ho compreso l’incomunicabilità e l’incomunicabile, l’indicibile e l’incomprensibile. Ho compreso la distanza e la cecità, l’inguardabile e l’immostrabile, il mostro e la sua gabbia nella tenda vuota. Ho compreso la distanza e l’inaudibile. L’inaudito. La mia faccia vuota fra facce vuote. Che la solitudine è incontenibile. Non puoi racchiuderla in un corpo o in un volto. La solitudine non ha dimensione. Eppure mi sono stupito a non soffrire. O meglio, a contemplare il dolore come non lo avevo mai permesso. E mi sono stupito a non spaventarmi. Che mica è brutto il mio dolore, sa! Non è brutto affatto e non spaventa. Fa male, si, ma non per nuocere. Fa male per salvare.
Ti guardi, capisci, ti carezzi, sorridi, piangi, rimpiangi e taci, ché ti vuoi ascoltare. Ascoltare in silenzio, ascoltare il silenzio. Che pace, vero? questo silenzio che non è affatto cupo. Non il silenzio che nega, che copre, che nasconde il rumore. Il silenzio che senza tradirsi mostra se stesso.
La mia solitudine è popolata di mille volti, tutti i personaggi che mi sono disegnato, tutti i ruoli che ho assegnato, tutte le battute che ho scritto, tradotto, trascritto. Tutti gli infiniti tu di cui ho popolato questo io.
E quando ho guardato, oggi, per la prima volta, l’io, ho finalmente potuto riconoscere ogni tu. Ogni tu al di fuori del mio leggerlo. Ogni tu intraducibile e quindi, per me, incomprensibile. Ho speso una vita a cercarmi tra i tu. Io non vedo e non ho specchi, dimmi, dunque, chi sono?
Come? Mi vuoi meno me? O più te? Dimmi come mi vuoi.
Che altrimenti non esisto.
E le corse forsennate verso i mille io cercati, senza mai, mai raggiungermi.
Io non sono il tuo me. Tu non sei il mio te.
La teoria dei vasi incomunicanti ci ha prosciugato.
Ho sete.
Io ho sete.
Ti va di bere qualcosa?

§ 2 risposte a La teoria dei vasi incomunicanti

  • vittoriobenini2013 ha detto:

    Passaggi interessanti… io … tu … te … me… incertezze nella ricerca del proprio IO, che emerge quando ci si abbandona completamente sulla zattera delI'”Io sono nulla”, alla deriva di quel ‘sapere’ che rende ignoranti (é solamente un modesto, incasinato, parere … che viene da una ‘zattera’ alla deriva).

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